Angoscia (Gaslight, USA, 1944,
b/n, 114 min)
Regia: George Cukor
Interpreti: Charles Boyer,
Ingrid Bergman, Joseph Cotten, Dame May Whitty, Angela Lansbury
Soggetto: Patrick Hamilton
Sceneggiatura: John Van Druten,
Walter Reisch, John L. Balderston
Fotografia: Joseph Ruttenberg
Genere: thriller
Musiche: Bronislau Caper
La trama:
La giovane Paula Asquith (Bergman), ossessionata dal ricordo
dell’omicidio della zia Alice, una famosa cantante lirica, al quale
aveva praticamente assistito, sposa Gregory Anton (Boyer) che la
convince a tornare a vivere nella londinese casa del delitto, per
meglio esorcizzare le sue paure. Ma le cose, invece di migliorare,
peggiorano: alcuni quadri di casa scompaiono dalle pareti, Paula
smarrisce un gioiello, sente dei passi in soffitta, vede le luci a
gas della casa abbassarsi senza alcuna ragione (da cui il titolo
originale, luce a gas) e si sente inesorabilmente trascinata
sull’orlo della pazzia, mentre nessuno le viene in aiuto, né il
marito, che sembra anzi accusarla di squilibrio mentale, né la
giovane domestica Nancy (Lansbury), che mostra apertamente di
dispezzare la padrona.
La tesi della
follia non convince però Brian Cameron (Cotten), affermato
poliziotto di Scotland Yard, che indagherà caparbiamente fino a
risolvere il mistero.
Il commento:
Ci voleva George Cukor, il regista delle donne, per tirar fuori
da Ingrid Bergman questo maestoso ritratto di una donna fragile,
indifesa e mentalmente disturbata, che le valse con pieno
merito il primo dei suoi premi Oscar da protagonista; neppure le sue
intense interpretazioni nei gialli di Hitchcock (Io ti salverò, Notorius, l’amante perduta e Il peccato di Lady
Considine) eguagliano questa Paula dolente e attonita.
Ma non è solo la
grande interpretazione della Bergman a far annoverare questo film tra
i classici del giallo d’ogni tempo, ma anche la suggestiva
atmosfera londinese, tutta riprodotta in studio, anche nelle rare
sequenze in esterno (Cedric Gibbons vinse l’Oscar per la miglior
scenografia e Philip Ruttenberg ottenne una nomination come miglior
direttore della fotografia), la regia attenta e impeccabile e una
sceneggiatura drammatica e coinvolgente (anch’essa nominata per
l’Oscar).
Charles Boyer (a
sua volta nominato per l’Oscar) è un cattivo da antologia; Joseph
Cotten è come sempre un attore dalle non comuni doti espressive e
del tutto adeguato alla parte; la giovanissima Angela Lansbury,
futura signora in giallo, è deliziosa nei panni di una
servetta acida e maliziosa (e pure lei ricevette una nomination
all’Oscar da non protagonista).
Curiosità:
Dal titolo originale dell’opera è nato il termine inglese gaslighting, usato comunemente – anche se non ufficialmente –
in psicologia, col significato di “violenza psicologica esercitata
su una persona allo scopo di farla dubitare della propria percezione
della realtà”; ciò che, per l’appunto, fa Gregory Anton nel
film con la moglie Paula.
Come in numerosi
altri casi (famoso quello di Alan Ladd, di statura bassissima e
costantemente costretto a ricorrere a questi espedienti), anche
Charles Boyer era più basso di statura di Ingrid Bergman, e girò le
scene in cui si trovavano faccia a faccia stando sopra una scatola di
legno.
L’esordiente
Angela Lansbury compì diciotto anni nel corso delle riprese, e la
troupe le organizzò una festicciola augurale sul set.
Per rendere meglio
il carattere della protagonista (esemplare caso di professionalità
attoriale!) Ingrid Bergman si recò in un istituto di malattie
mentali per studiare i gesti e le espressioni dei pazienti.
Un saluto dal vostro
Cosimo Piovasco di Rondò