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domenica 2 settembre 2012

Onomastica calviniana

(Nota a margine: nel salvataggio del mio vecchio blog da Splinder a iobloggo qualcosina si è persa, in particolare gli interventi pubblicati in abstract (i famosi continua a leggere), dei quali ho fatto un certo uso soprattuto nelle fasi iniziali; ne ripubblicherò quindi qualcuno qui di tanto in tanto, cominciando da questo che, come ho raccontato qualche giorno fa, mi ha ispirato il nickname col quale tutti ormai mi conoscono).

ONOMASTICA CALVINIANA
Analisi semiseria dei nomi dei personaggi nell’opera di Italo Calvino
Nel multiforme, composito e immaginifico universo fantastico di Italo Calvino, l’estraneità della narrazione dal nostro vivere quotidiano si manifesta già attraverso i nomi dei protagonisti di romanzi e racconti. Nomi spesso strampalati – e quindi, in qualche misura, alieni – altre volte dichiaratamente simbolici, che quasi rappresentano una sorta di dichiarazione d’intenti dell’autore nei confronti della sua opera.
Esaminare la totalità dello sterminato esercito dei personaggi di Calvino è impresa praticamente impossibile, e anche riuscendovi occorrerebbe non già un semplice articolo ma bensì un intero volume. Ci limiteremo a qualche esempio, giusto per fornire ai lettori l’occasione per riflettere – e, speriamo, anche per sorridere – su un aspetto spesso trascurato dell’opera di questo gigante della letteratura italiana del ventesimo secolo. 
Qfwfq: già nell’impronunciabile e palindromo nome del protagonista, Le Cosmicomiche annunciano la propria natura di narrazione sospesa tra la fantascienza, il surrealismo e la favola morale; anche gli altri personaggi, che vivono strampalate avventure, come raccogliere formaggio a cucchiaiate dalla superficie della Luna, giocare con le molecole primigenie dell’universo in formazione o scoprire i colori del mondo, hanno nomi non meno assurdi: il capitano Vhd Vhd, la sorella G’d(w)n, la nonna Bb’b, il signor Hnw (quello che poi diventò un cavallo)… e mille altri.
Ludmilla Vipiteno: è la lettrice di Se una notte d’inverno un viaggiatore. Più ancora dell’inconsueto nome Ludmilla, è significativa la scelta del cognome, un nome di paese a sua volta artificiale: Vipiteno è infatti una delle tante bislacche invenzioni del regime fascista per italianizzare i nomi tedeschi del Sud Tirolo/Alto Adige (in questo caso Sterzig); anche gli altri personaggi del romanzo non sono da meno: la sorella di Ludmilla, Lotaria; gli scrittori Ukko Athi e Tazio Bazakbal, i professori Galligani e Uzzi-Tuzii… mentre per converso il protagonista (curiosa e indovinata sintesi tra la figura dell’autore e quella del lettore) non viene mai nominato, neppure una volta, nel corso dell’intero romanzo.
Marcovaldo: con singolare equilibrio Calvino inventa per i personaggi di questa stralunata raccolta (Marcovaldo ovvero Le stagioni in città) nomi inconsueti sì, ma per niente – come invece altrove – fantastici: dal protagonista alla pragmatica moglie Domitilla, ai figli maggiori Isolina e Fiordaligi (già dal nome romantico e sognatore come poi si rivela effettivamente nella narrazione), ai piccoli Daniele e Michelino (i più normali – in tutti i sensi – della famiglia). Allo stesso equilibrio sono improntati anche alcuni dei personaggi di contorno, il vigile urbano Tornaquinci, l’agente pubblicitario Dottor Godifredo
Diomira, Isidora, Dorotea e le altre: le Città invisibili che Marco Polo racconta a Kublai Kan nell’omonimo romanzo recano, tutte e cinquantacinque, un diverso nome di donna. Qui sarebbe inutile tentare di individuare puntualmente nei singoli nomi intenzioni simboliche, stante l’atmosfera rarefatta e onirica che regna in questa sorta di catalogo dei sogni. Non a caso l’incipit dell’opera svela che Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che gli dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie…
E dunque bisogna contentarsi di gustare, assieme alle straordinarie invenzioni letterarie e visive dei panorami urbani descritti dall’esploratore veneziano, anche i suggestivi nomi femminili che li identificano: da quelli – ancorché inconsueti – in qualche misura normali, come Olivia, Ottavia, Melania, Irene, Tecla, Cecilia, Teodora… ad altri esotici o arcaici ma in qualche modo riconoscibili: Isidora, Dorotea, Anastasia, Tamara, Zoe, Zenobia… fino ad arrivare ai nomi mai sentiti (e sono l’assoluta maggioranza) e – probabilmente – inventati di sana pianta: Despina, Zobeide, Isaura, Valdrada, Eutropia, Zemrude…
Biancone: l’amico di gioventù del narratore, co-protagonista dei racconti realistici del tempo di guerra (Gli avanguardisti a Mentone, Le notti dell’UNPA), è stato da molti identificato in Eugenio Scalfari, il direttore di Repubblica (che è stato effettivamente compagno di scuola e amico di Calvino); l’interessato ha tuttavia pubblicamente smentito in più occasioni, giungendo ad affermare (se ben ricordo un’intervista televisiva di qualche anno fa) che Biancone esisteva, sì… ma il suo vero nome era Dentone
E questa sembrerebbe una delle poche occasioni nelle quali la realtà sia riuscita a superare in fantasia la sfrenata immaginazione di Italo Calvino.
Medardo, Cosimo, Agilulfo: i nomi dei protagonisti della trilogia I nostri antenati, da molti considerata il capolavoro del nostro scrittore, sembrano essere presi di peso dal mondo dei fumetti, o addirittura essere stati inventati per esso. Il Visconte dimezzato Medardo di Terralba, guerriero spaccato in due da un colpo di cannone dei nemici turchi e diviso in una metà buona e in una cattiva, ha un nome quasi deludente nella sua apparente normalità; non sfugge tuttavia un’allusione simbolica nel nome Terralba, che reca in sé (come molti dei luoghi trasfigurati della trilogia) un’impronta ligure, retaggio di quella riviera di ponente dove Calvino ha trascorso molti anni della sua vita.
Più scopertamente beffardo il nome di Cosimo Piovasco di Rondò, il Barone rampante, che quasi sembra anticipare la presa in giro della nobiltà della Contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare inventata qualche anno dopo da Villaggio/Fantozzi; anche in questo caso il cognome Piovasco ha evidenti reminiscenze liguri, come scopertamente rivierasca è l’ambientazione del romanzo nell’immaginaria contrada di Ombrosa.
Ma dove il genio di Calvino si scatena in tutta la sua ghignante fantasia è nel battezzare il suo Cavaliere inesistente, Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez, esilarante summa di tutte le esagerazioni e le ridondanze della narrativa cavalleresca, e insieme degno e paradigmatico corollario di un personaggio che non esiste, e tuttavia vive, parla e agisce in un’armatura vuota, tenuto insieme dalla propria volontà di esistere. Una tra le più originali e indimenticabili (come il suo nome!) figure di tutta la storia della letteratura.
Palomar: scopertamente (e forse un po’ banalmente) simbolico è il nome del protagonista dell’ultimo romanzo di Calvino; nome che – proprio per la sua immediata evidenza – risulta deludente in confronto alle precedenti, imprevedibili alzate d’ingegno dell’autore.
Come vagamente deludente (a giudizio di chi scrive) risulta anche l’opera, raccolta di riflessioni tra l’aneddotico e il filosofico, con sprazzi di singolare lucidità e profondità, ma connotata da un inevitabile sentore di accademismo, estrema prova di un venerabile maestro ormai conscio della propria intoccabile statura letteraria e (forse inconsapevolmente) convinto di essere da essa autorizzato a scrivere ogni cosa che gli passa per il capo.
Palomar è il nome di un famoso osservatorio astronomico: come il potente telescopio scruta le stelle e indaga sulla natura dell’universo, così il Signor Palomar si dedica costantemente a osservare i minuti dettagli della quotidianità e a meditare sulla natura dell’esistenza. Un compito che persegue con metodica ostinazione fino a quando decide che si metterà a descrivere ogni istante della sua vita, e finché non li avrà descritti tutti non penserà più d’essere morto. In quel momento muore.

Un saluto dal vostro
Cosimo Piovasco di Rondò