(Nota a margine: nel salvataggio del mio vecchio blog da Splinder a iobloggo qualcosina si è persa, in particolare gli interventi pubblicati in abstract (i famosi continua a leggere), dei quali ho fatto un certo uso soprattuto nelle fasi iniziali; ne ripubblicherò quindi qualcuno qui di tanto in tanto, cominciando da questo che, come ho raccontato qualche giorno fa, mi ha ispirato il nickname col quale tutti ormai mi conoscono).
ONOMASTICA
CALVINIANA
Analisi
semiseria dei nomi dei personaggi nell’opera di Italo Calvino
Nel
multiforme, composito e immaginifico universo fantastico di Italo
Calvino, l’estraneità
della narrazione dal nostro vivere
quotidiano
si manifesta già attraverso i nomi dei protagonisti di romanzi e
racconti. Nomi spesso strampalati – e quindi, in qualche misura,
alieni
– altre volte dichiaratamente simbolici, che quasi rappresentano
una sorta di dichiarazione
d’intenti
dell’autore nei confronti della sua opera.
Esaminare
la totalità dello sterminato esercito dei personaggi di Calvino è
impresa praticamente impossibile, e anche riuscendovi occorrerebbe
non già un semplice articolo ma bensì un intero volume. Ci
limiteremo a qualche esempio, giusto per fornire ai lettori
l’occasione per riflettere – e, speriamo, anche per sorridere –
su un aspetto spesso trascurato dell’opera di questo gigante della
letteratura italiana del ventesimo secolo.
Qfwfq:
già nell’impronunciabile e palindromo nome del protagonista, Le
Cosmicomiche
annunciano la propria natura di narrazione sospesa tra la
fantascienza, il surrealismo e la favola morale; anche gli altri
personaggi, che vivono strampalate avventure, come raccogliere
formaggio a cucchiaiate dalla superficie della Luna, giocare con le
molecole primigenie dell’universo in formazione o scoprire
i colori del mondo, hanno nomi non meno assurdi: il capitano Vhd
Vhd,
la sorella G’d(w)n,
la nonna Bb’b,
il signor Hnw
(quello
che poi diventò un cavallo)…
e mille altri.
Ludmilla
Vipiteno:
è la lettrice
di Se
una notte d’inverno un viaggiatore.
Più ancora dell’inconsueto nome Ludmilla,
è significativa la scelta del cognome, un nome di paese a sua volta
artificiale:
Vipiteno
è infatti una delle tante bislacche invenzioni del regime fascista
per italianizzare
i nomi tedeschi del Sud Tirolo/Alto Adige (in questo caso Sterzig);
anche gli altri personaggi del romanzo non sono da meno: la sorella
di Ludmilla, Lotaria;
gli scrittori Ukko
Athi
e Tazio
Bazakbal,
i professori Galligani
e Uzzi-Tuzii…
mentre per converso il protagonista (curiosa e indovinata sintesi
tra la figura dell’autore e quella del lettore) non viene mai
nominato,
neppure una volta, nel corso dell’intero romanzo.
Marcovaldo:
con singolare equilibrio Calvino inventa per i personaggi di questa
stralunata raccolta (Marcovaldo
ovvero Le stagioni in città)
nomi inconsueti sì, ma per niente – come invece altrove –
fantastici:
dal protagonista alla pragmatica moglie Domitilla,
ai figli maggiori Isolina
e
Fiordaligi
(già dal nome romantico e sognatore come poi si rivela
effettivamente nella narrazione), ai piccoli Daniele
e
Michelino
(i più normali
– in tutti i sensi – della famiglia). Allo stesso equilibrio sono
improntati anche alcuni dei personaggi di contorno, il vigile urbano
Tornaquinci,
l’agente pubblicitario Dottor
Godifredo…
Diomira,
Isidora, Dorotea e le altre:
le Città
invisibili
che Marco Polo racconta a Kublai Kan nell’omonimo romanzo recano,
tutte e cinquantacinque, un diverso nome di
donna. Qui sarebbe inutile tentare di individuare puntualmente nei
singoli nomi intenzioni simboliche,
stante l’atmosfera rarefatta e onirica che regna in questa sorta di
catalogo
dei sogni.
Non a caso l’incipit dell’opera svela che
Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che gli dice Marco
Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie…
E
dunque bisogna contentarsi di gustare, assieme alle straordinarie
invenzioni letterarie e visive
dei panorami urbani descritti dall’esploratore veneziano, anche i
suggestivi nomi femminili che li identificano: da quelli – ancorché
inconsueti – in qualche misura normali,
come Olivia,
Ottavia, Melania, Irene, Tecla, Cecilia, Teodora…
ad altri esotici o arcaici ma in qualche modo riconoscibili: Isidora,
Dorotea, Anastasia, Tamara, Zoe, Zenobia…
fino ad arrivare ai nomi mai
sentiti
(e sono l’assoluta maggioranza) e – probabilmente – inventati
di sana pianta: Despina,
Zobeide, Isaura, Valdrada, Eutropia, Zemrude…
Biancone:
l’amico di gioventù del narratore, co-protagonista dei racconti
realistici del tempo di guerra (Gli
avanguardisti a Mentone, Le notti dell’UNPA),
è stato da molti identificato in Eugenio Scalfari, il direttore di
Repubblica
(che è stato effettivamente compagno di scuola e amico di Calvino);
l’interessato ha tuttavia pubblicamente smentito in più occasioni,
giungendo ad affermare (se ben ricordo un’intervista televisiva di
qualche anno fa) che Biancone esisteva, sì… ma il suo vero nome
era Dentone…
E
questa sembrerebbe una delle poche occasioni nelle quali la realtà
sia riuscita a superare in fantasia la sfrenata immaginazione di
Italo Calvino.
Medardo,
Cosimo, Agilulfo:
i nomi dei protagonisti della trilogia I
nostri antenati,
da molti considerata il capolavoro del nostro scrittore, sembrano
essere presi di peso dal mondo dei fumetti, o addirittura essere
stati inventati per esso. Il Visconte
dimezzato
Medardo
di Terralba,
guerriero spaccato
in due
da un colpo di cannone dei nemici turchi e diviso in una metà buona
e in una cattiva,
ha un nome quasi deludente nella sua apparente normalità; non sfugge
tuttavia un’allusione simbolica nel nome Terralba,
che reca in sé (come molti dei luoghi trasfigurati
della trilogia) un’impronta ligure,
retaggio di quella riviera di ponente dove Calvino ha trascorso molti
anni della sua vita.
Più
scopertamente beffardo il nome di Cosimo
Piovasco di Rondò,
il Barone
rampante,
che quasi sembra anticipare la presa in giro della nobiltà della
Contessa
Serbelloni Mazzanti Viendalmare
inventata qualche anno dopo da Villaggio/Fantozzi; anche in questo
caso il cognome Piovasco
ha evidenti reminiscenze liguri, come scopertamente rivierasca è
l’ambientazione del romanzo nell’immaginaria contrada di Ombrosa.
Ma
dove il genio di Calvino si scatena in tutta la sua ghignante
fantasia è nel battezzare il suo Cavaliere
inesistente,
Agilulfo
Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura,
cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez,
esilarante summa
di tutte le esagerazioni e le ridondanze della narrativa
cavalleresca,
e insieme degno e paradigmatico corollario di un personaggio che non
esiste,
e tuttavia vive, parla e agisce in un’armatura vuota, tenuto
insieme dalla propria volontà
di esistere.
Una tra le più originali e indimenticabili (come il suo nome!)
figure di tutta la storia della letteratura.
Palomar:
scopertamente (e forse un po’ banalmente) simbolico è il nome del
protagonista dell’ultimo romanzo di Calvino; nome che – proprio
per la sua immediata evidenza
– risulta deludente in confronto alle precedenti, imprevedibili
alzate
d’ingegno
dell’autore.
Come
vagamente deludente (a giudizio di chi scrive) risulta anche l’opera,
raccolta di riflessioni tra l’aneddotico e il filosofico, con
sprazzi di singolare lucidità e profondità, ma connotata da un
inevitabile sentore di accademismo,
estrema prova di un venerabile
maestro
ormai conscio della propria intoccabile statura letteraria e (forse
inconsapevolmente) convinto di essere da essa autorizzato a scrivere
ogni
cosa che gli passa per il capo.
Palomar
è il nome di un famoso osservatorio astronomico: come il potente
telescopio scruta le stelle e indaga sulla natura dell’universo,
così il Signor Palomar si dedica costantemente a osservare i minuti
dettagli della quotidianità e a meditare sulla natura
dell’esistenza.
Un compito che persegue con metodica ostinazione fino a quando decide
che si metterà a descrivere ogni istante della sua vita, e finché
non li avrà descritti tutti non penserà più d’essere morto. In
quel momento muore.
Un saluto dal vostro
Un saluto dal vostro
Cosimo Piovasco di Rondò